Battery-powered cars may jump from 10% of car sales in 2021 to 40% in 2030 globally

Le auto a batteria elettrica potrebbero passare dal 10% delle vendite globali nel 2021 al 40% nel 2030

Infrastructure  |  Sustainability  |  Business

Quel sottile equilibrio fra politica e mercati delle batterie “green”

I Paesi occidentali sono in ritardo rispetto ai produttori asiatici di batterie e un rapido passaggio alle auto elettriche potrebbe accrescere ulteriormente la dipendenza dalla Cina. La transizione verso una mobilità pulita è ancora in corso e l’Europa potrebbe trovarsi tagliata fuori dall’innovazione se le sue politiche si rivelassero troppo arretrate rispetto al mercato

Il passaggio alla mobilità elettrica in Europa e negli Stati Uniti è sia un fenomeno guidato dal mercato che un obiettivo politico. Questa nuova tendenza metterà sotto pressione le case automobilistiche europee, che dovranno adattarsi rapidamente e si troveranno a dipendere sempre di più dai fornitori stranieri di componenti fondamentali, in particolare di batterie provenienti dall’Asia. I responsabili politici dell’Ue sono consapevoli del rischio di un’eccessiva dipendenza da soggetti non europei, soprattutto dopo le esperienze della pandemia di Covid e, più di recente, della crisi del gas naturale. Non è scontato, però, che una via d’uscita possa risiedere nella mera ripresa di una politica industriale vecchio stile, volta a promuovere e finanziare i produttori nazionali di batterie.

Il problema va compreso sia dal punto di vista della domanda che da quello dell’offerta. Sul fronte della domanda, sono due i fattori principali. Innanzitutto, la richiesta di veicoli elettrici sta aumentando per una serie di motivi: la percezione di prestazioni superiori, la consapevolezza che queste soluzioni contribuiscono a ridurre l’impronta ambientale, l’aspettativa di un sostanziale risparmio sui costi del carburante ed eventualmente gli effetti di rete. Alcuni di questi aspetti possono perdere presa per ragioni di breve o lungo periodo: ad esempio, l’inflazione dell’energia e delle materie prime può ridurre il vantaggio economico delle e-car, mentre la perdita di gettito fiscale dovuta al calo del consumo di prodotti petroliferi finirà prima o poi per indurre i governi ad aumentare le tasse anche sui veicoli elettrici. 

L’incremento della domanda di veicoli elettrici non è l’unico catalizzatore della crescente popolarità della mobilità elettrica. Molto contano anche le decisioni politiche, come i generosi sussidi per l’acquisto di e-car, i piani finanziati dalle tasse per la realizzazione di infrastrutture di ricarica, i programmi “cash for clunkers” e il divieto di utilizzare i motori a combustione interna in Europa dal 2035. Quest’ultima decisione potrebbe esercitare l’impatto maggiore, sebbene siano già state avanzate delle riserve e sollevati ulteriori dubbi dopo l’impennata dei prezzi energetici negli ultimi mesi. 

I catalizzatori economici e politici della domanda di veicoli elettrici (e quindi di batterie) sono fondamentali per comprendere le sfide che i produttori di veicoli, componenti e batterie dovranno affrontare. Secondo BloombergNEF, le auto a batteria potrebbero passare dal 10% delle vendite globali nel 2021 al 40% nel 2030, con l’Europa al secondo posto dopo la Cina. Questa prospettiva solleva due problemi: in primo luogo, la capacità dei produttori di rifornire il mercato con un numero sufficiente di batterie; in secondo luogo, la lotta geopolitica per evitare che le batterie diventino una sorta di monopolio territoriale come lo sono i chip. Dei sei maggiori produttori di batterie, due (BYD e CATL) provengono dalla Cina, tre (Samsung, LG e SK Innovation) dalla Corea del Sud e Panasonic dal Giappone. Nessuno invece è ubicato in Europa o nel Nord America. 

Invertire questa situazione non è facile. Creare una “gigafactory” per produrre batterie richiede tempo e competenze, oltre a capitali e materiali. Secondo l’Economist, la Cina continuerà per ora a mantenere la sua leadership: «Il Paese è responsabile di quasi l’80% dell’attuale capacità produttiva di celle a livello mondiale. Benchmark Minerals prevede che la quota di competenza della Cina diminuirà nel prossimo decennio, ma solo in misura marginale, fino a poco meno del 70%. Per allora l’America rappresenterà solo il 12% della capacità globale, mentre il resto sarà attribuibile per lo più all’Europa». L’Europa si sta muovendo per colmare in qualche modo il divario. Anche in questo caso, in gioco ci sono sia gli sforzi degli investitori privati che la spinta delle politiche. La sola Volkswagen prevede di costruire sei gigafactory entro il 2030. Altri produttori, come BMW e MercedesBenz, stanno avviando joint venture con terzi. In ogni caso, queste aziende devono affrontare la duplice sfida di aumentare la produzione di auto elettriche e assicurarsi l’accesso a tecnologie chiave, come le batterie, producendole o acquistandole da fornitori affidabili. 

Allo stesso tempo, si stanno sviluppando politiche nazionali ed europee volte a rafforzare la capacità produttiva regionale di batterie. Nello specifico è stata avviata una riforma normativa per fare dell’Europa un leader mondiale nel settore delle batterie. In queste politiche di ampio respiro, è sempre difficile distinguere l’apparenza dalla sostanza. Per raggiungere l’obiettivo, infatti, bisogna innalzare gli standard (compresa la protezione dei diritti umani lungo la catena di fornitura) relativi alle batterie da utilizzare in Europa e assicurare finanziamenti agli investimenti industriali e alle attività di ricerca e innovazione nel campo delle batterie. 

Il problema principale di queste strategie è che tendono ad essere contemporaneamente in anticipo e in ritardo rispetto ai mercati. La politica precede i mercati nel senso che mira a spingerli nella direzione desiderata o, per essere più precisi, a velocizzare il passaggio dai veicoli tradizionali a quelli elettrici. In questo modo si estenderebbe la capacità del mercato di fornire i prodotti desiderati e, di fatto, si rischierebbe di aumentare involontariamente la dipendenza dai produttori extra-UE (com’è successo in parte con i pannelli solari). Allo stesso tempo, la politica è in ritardo rispetto ai mercati: infatti se è vero che la mobilità elettrica potrebbe verosimilmente dominare il settore dei trasporti in futuro, non vi è una certezza assoluta ed esistono (o potrebbero affermarsi) svariate alternative, come i carburanti sintetici o l’idrogeno. Optando per un’unica scelta politica – che alla fine però non riflette quelle che potrebbero essere le tecnologie preferite in futuro – l’Europa potrebbe trovarsi tagliata fuori dalle principali ondate di innovazione, non solo mettendo “tutte le uova nello stesso paniere elettrico”, ma anche escludendo gli investimenti privati in altri campi (compreso lo sviluppo di motori non elettrici più efficienti). 

Non si sa ancora quanto saranno importanti le batterie in futuro. Una cosa però è certa: l’Europa è in ritardo e c’è poco da discutere sulla necessità impellente di fare un salto di qualità. Meno certo invece è quale sia l’approccio più adatto per raggiungere l’obiettivo, senza rinunciare ad altre potenzialità innovative.


Carlo Stagnaro - È direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni. Precedentemente è stato capo della segreteria tecnica del ministro presso il ministero dello Sviluppo economico. Si è laureato in Ingegneria per l'ambiente e il territorio presso l'Università di Genova e ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia, mercati, istituzioni presso IMT Alti Studi - Lucca. Fa parte della redazione delle riviste Energia e Aspenia ed è membro dell'Academic Advisory Council dell'Institute of Economic Affairs. È editorialista economico dei quotidiani Il Foglio e Il Secolo XIX. Il suo ultimo libro, scritto a quattro mani con Alberto Saravalle, è "Molte riforme per nulla" (Marsilio, 2022).

Altri come questo