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Quella “fame” di minerali: il prezzo della sostenibilità

Un’automobile elettrica richiede una quantità di minerali di sei volte tanto, rispetto a una convenzionale. Il fabbisogno globale di alcune materie prime come litio, rame e altri metalli e minerali è in costante aumento, mentre nel mondo si moltiplicano gli sforzi per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità

L’allarme arriva direttamente dalla Commissione europea che denuncia le criticità nell’approvvigionamento di almeno trenta materie prime. Tra queste il litio, indispensabile per le batterie tanto dei veicoli elettrici, quanto quelle di pc e smartphone. Al riguardo, possiamo fare un esempio ancora più esplicativo. Un’auto elettrica infatti richiede una quantità di minerali sei volte superiore a quella convenzionale. E così ci troviamo a fare i conti con i costi di questa transizione ecologica. La domanda di alcune materie prime è infatti destinata a crescere a livello globale, esattamente come ha informato l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) in un rapporto specifico, dedicato al “Ruolo dei minerali decisivi nella transizione all’energia pulita” (“The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions”): dal 2010 la quantità media di minerali necessari per una nuova unità di capacità di generazione dell’energia è aumentata del 50%, mentre è aumentata la quota di investimenti nelle rinnovabili minerali necessari.

Di recente, le cose si sono ulteriormente complicate, se possibile. Ma come è accaduto? Quando le materie prime sono diventate introvabili e soprattutto così costose? Il Covid-19 certamente non ha aiutato. Nei primi mesi di pandemia infatti i prezzi delle materie prime hanno conosciuto un crollo di quasi il 30%. Poco dopo però sono tornati a salire e le materie prime in breve sono diventate intoccabili e allo stesso tempo un investimento interessante grazie all’andamento dei mercati finanziari. Tra le concause, però, l’Agenzia internazionale per l’energia evidenzia altri fattori strutturali e antecedenti alla pandemia.

La produzione di numerosi minerali utili per la transizione energetica si concentra infatti in alcune zone geografiche. Ad esempio Repubblica Democratica del Congo e Repubblica popolare cinese nel 2019 hanno prodotto rispettivamente il 70% e il 60% della produzione mondiali di materiali quali cobalto e terre rare.

In ogni caso, non solo la quantità ma anche la qualità delle materie prime estratte, genera preoccupazioni. Per esempio, la qualità media del rame in Cile è diminuita del 30% negli ultimi quindici anni. 

In ultimo, un fattore che non può non essere trascurato, è la maggiore esposizione ai rischi climatici. Rame e litio sono particolarmente vulnerabili agli stress idrici e circa il 50% della loro produzione si concentra in aree fortemente siccitose. 

Questi ultimi, così come cobalto, terre rare, nickel o stagno sono tutte materie prime, tra metalli e minerali, il cui prezzo sale e la cui reperibilità è sempre più scarsa, e soprattutto sono essenziali per la transizione ecologica in atto. Il fabbisogno mondiale di queste materie prime in settori come tecnologia, mobilità elettrica, eolico-fotovoltaico raddoppierà entro il 2040. E se tutti i Paesi dovessero rispettare i moniti dell’Accordo di Parigi per tenere la temperatura globale “ben al di sotto dei 2 gradi”? In quel caso allora la domanda di materie prime nello stesso arco di tempo potrebbe moltiplicarsi per quattro. Per sei, addirittura, se si riuscisse a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette nel 2050.

Quanto è corta la coperta? L’Unione europea prova a porre un rimedio attraverso l’Alleanza europea per le materie prime (Erma), fondata nel 2020. L’obiettivo è quello di diventare maggiormente autonomi, mettendo in atto una strategia basata su tre punti fondamentali: favorire l’estrazione di minerali presenti sul territorio europeo, investire su aziende che puntino al riciclo di queste stesse materie prime e infine, ultimo ma non ultimo, avviare attività comuni a livello europeo per la trasformazione strategica di minerali sempre più rari.


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