Coniferous forest in evening light with fog in winter

I robot plantoidi sono bio-ispirati alle abilità delle piante, creati in modo primario per sposare la causa ambientalista

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Oltre l’immaginazione: al via la sfida biorobotica dei plantoidi

Le innovative “piante robot” sono automi bioispirati che mimano la propagazione delle radici nel terreno. L’ideatrice è un’italiana, Barbara Mazzolai e la sua visione lascia intuire un’ampia varietà di applicazioni potenziali in diverse discipline

Leonardo da Vinci disegnò il primo prototipo di cavaliere meccanico, all’apparenza in grado di alzarsi, muovere le braccia, la testa e persino la mascella, intorno al 1495. Il suo è ancora oggi quello che viene considerato il primo progetto di robot della Storia.

L’idea di realizzare sistemi meccanici autonomi e intelligenti esiste sin dall’antichità, eppure nessuno, nemmeno Isaac Asimov, considerato il padre della fantascienza, aveva pensato a una “pianta robot”, ossia a un “plantoide” per essere precisi. Una robotica bioispirata, in grado di muoversi ed esplorare l’ambiente circostante, esattamente come fanno le piante con le radici. Il mondo primordiale ricoperto da foreste pluviali immaginato in “Avatar” però ci si avvicina molto: nel film fantascientifico diretto da James Cameron l’albero rappresentava l’anima, l’essenza del pianeta Pandora, in grado di connettersi con tutti gli organismi viventi.

Barbara Mazzolai, direttrice del Centro di micro-biorobotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e ideatrice del primo robot bioispirato alle capacità delle piante, è partita proprio da questa visione per condurre un grande progetto che ha richiesto di attingere a competenze multidisciplinari. Dalla biologia per lo studio comportamentale delle piante, all’ingegneria dei materiali al fine di strutturare al meglio la tecnologia più adatta: sono state molteplici le applicazioni che le hanno permesso infine di realizzare i plantoidi, veri e propri robot che crescono e si comportano come i loro modelli vegetali e che, fatto ancor più straordinario, sono in grado di favorire la sostenibilità ambientale.


Un'idea ispirata dalla natura

«La robotica bioispirata rientra nello scenario della biomimetica, dove la natura viene presa come fonte di ispirazione per risolvere dei problemi pratici e trovare risposte a delle esigenze concrete», aveva raccontato Mazzolai nel magazine dell’Università di Padova. Nell’introduzione al suo ultimo libro, Il futuro raccontato dalle piante (Longanesi, 2021), l’esperta chiarisce ancora meglio: «Sono sempre più convinta che l’osservazione della natura e dei suoi profondi meccanismi possa indicarci la strada per risolvere problemi complessi, quali i cambiamenti climatici e l’innalzamento della temperatura globale, così come l’identificazione di materiali a minor impatto ambientale e forme energetiche più sostenibili. Sapere e conoscenza rappresentano le uniche vie percorribili al fine di aumentare la consapevolezza nelle scelte da compiere e la responsabilità del singolo, oltre che della collettività». 

È chiaro dunque come il suo programma di ricerca si concentri sul comportamento delle piante in quanto capaci di instaurare un dialogo continuo con l’ambiente. 

Queste crescono e si muovono durante tutte le fasi della loro vita e a volte lo fanno in modo lento nel terreno, con modalità di movimento nemmeno percepibili, altre volte invece sono più veloci. La dionea, per esempio, è una pianta carnivora le cui foglie sono dotate di peli tattili che, stimolati da una preda, riescono a intrappolarla in un decimo di secondo. Solo un caso, che descrive la straordinarietà delle loro capacità dispiegate nell’ambiente circostante. Siamo soliti sottovalutare le piante in quanto tali: prive di cervello a differenza di un qualsiasi altro essere vivente, pochi sanno che invece sono dotate di una raffinata intelligenza distribuita. All’apice delle radici sono dotate di sensori e, man mano che crescono, percepiscono l’ambiente esterno, riescono a fare network e a comunicare con altre piante, esplorando in maniera capillare il terreno. Il plantoide fa esattamente lo stesso.


Come "vivono" e funzionano i plantoidi

Come le loro “muse” naturali, i robot bioispirati sono in grado di cambiare la propria morfologia in base agli stimoli ambientali con cui vengono a contatto. In maniera completamente autonoma si muovono nel suolo, ricercando sostanze nutritive e sfruttando la divisione cellulare a livello del solo apice per crescere proprio come fanno le radici naturali.

Il team di ricerca guidato da Mazzolai si è lasciato guidare dalla robotica così da concentrarsi sull’integrazione all’interno di ecosistemi naturali, garantendone la sostenibilità. Le piante robot, infatti, sono state create principalmente per sposare la causa ambientalista, permettendo all’uomo di monitorare e aiutare gli ecosistemi all’interno dei quali vengono “piantate”. Ma com’è stato possibile realizzare tutto questo?

Il plantoide, affinché abbia le stesse funzionalità delle piante, viene dotato all’interno dell’apice robotico di una stampante 3D miniaturizzata. «Il materiale plastico usato da queste stampanti viene scaldato ad altissime temperature per pochi secondi, creando un filo flessibile che, strato dopo strato, riesce ad adattarsi morfologicamente con il resto del robot e con il suolo», spiega Mazzolai. Per costruire una struttura tridimensionale come quella delle radici artificiali del plantoide serve chiaramente l’elaborazione di informazioni raccolte di volta in volta dai sensori tattili. L’intelligenza di questi robot è data proprio dalla capacità di misurare svariati parametri nel suolo come umidità, sostanze chimiche quali azoto, fosforo e potassio, gravità e temperatura. I plantoidi riescono a fornire dati preziosi per monitorare l’ambiente, dimostrandosi strumenti ottimi anche per analisi qualitative di agenti inquinanti nel terreno, ai fini di un’agricoltura sostenibile. Tuttavia, in quanto strumenti tecnologici inseriti in un contesto ambientale, prima o poi saranno destinati a decadere, rischiando di trasformarsi in spazzatura altamente inquinante e difficilmente smaltibile. «Non possiamo studiare l’ambiente e poi contaminarlo: l’elettronica sostenibile è una sfida molto difficile, ma dobbiamo assolutamente affrontare il problema», riflette sul punto l’esperta.
 


Un miglioramento sostenibile

Esempio di plantoide votato alla piena sostenibilità è quello di I-Seed, una tipologia di microrobot per il quale i ricercatori si sono ispirati alle proprietà dei semi. Questi in natura, grazie soprattutto al vento, riescono a “scavare” nel suolo, penetrandovi. Tale dinamica è essenziale per la sopravvivenza della specie, nonché per la replicazione delle piante, un aspetto fondamentale per l’ecologia vegetale e per garantire il benessere di tutte le generazioni future. Nel caso di I-Seed, il seme-plantoide intelligente viene quindi piantato nel suolo dove penetra, monitorando i parametri di temperatura, fertilità, umidità, nonché i livelli di CO₂ e di inquinamento nel terreno. Semi plantoidi intelligenti, insomma, pensati per essere anche biodegradabili con l’obiettivo di rispettare la sfida della tecnologia ambientale. Anche questo progetto verrà coordinato da Barbara Mazzolai e coinvolgerà partner europei provenienti da Italia, Germania, Cipro e Paesi Bassi. I-Seed è stato finanziato con un contributo pari a 4 milioni di euro da parte dell’Unione Europea all’interno del bando FET Proactive Environmental Intelligence 2020, volto a ispirare progetti di ricerca in grado di strutturare una strategia a livello europeo per un sistema di intelligenza ambientale.

Gli utilizzi dei plantoidi però potrebbero essere molteplici e aumentare il loro raggio d’azione. Sarebbero infatti anche ottimi alleati in ambito medico per le endoscopie in quanto la crescita di questi robot non crea attrito e non danneggia i tessuti. Grazie ai loro sensori potrebbero essere impiegati anche per rilasciare molecole farmacologiche in parti specifiche interne al corpo umano. 

La ricerca di Barbara Mazzolai, per la sua capacità innovativa e rilevanza, è stata finanziata dall’Agenzia spaziale europea in previsione di un suo utilizzo nell’esplorazione di nuovi terreni, chiaramente su altri pianeti. Le piante robot potrebbero non fermarsi sul suolo terrestre e arrivare persino nello spazio.


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