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Il Canale di Panama: “L’ottava meraviglia del mondo moderno”

Una sfida ingegneristica vinta dopo quattro secoli, la vicenda del Canale di Panama si incrocia anche con la storia geopolitica dell’America Centrale. Un viaggio di quattro settimane viene ridotto a una manciata di ore

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Fino al 1914, per spostarsi tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico le navi dovevano raggiungere la Terra del Fuoco, all’estremo Sud dell’America. Qui bisognava scegliere se attraversare il Canale di Drake, il burrascoso tratto di oceano largo circa 800 chilometri che separa Capo Horn e l’America meridionale dall’Antartide, tra iceberg, onde e ghiaccio, oppure infilarsi nello stretto di Magellano, il percorso incastonato tra il continente americano e la Terra del Fuoco, che prende il nome dal navigatore portoghese che per primo aveva circumnavigato il mondo. In entrambi i casi, si trattava di un viaggio lunghissimo, pericoloso e sconveniente.

Per questo, sin dal XVI secolo, subito dopo l’impresa di Magellano, nasce l’ambiziosa idea di creare un canale per tagliare in due l’America centrale e collegare l’Atlantico e il Pacifico, una sfida ingegneristica e idraulica difficile anche solo da ipotizzare. Ci vorranno oltre trecento anni per iniziare concretamente i lavori, e almeno un’altra cinquantina per portare a termine l’opera, ma nel 1914 la SS Ancon della Boston Steamship Company, 9mila tonnellate di carico, diventa la prima nave ad attraversare quella che l’American Society of civil engineers definisce l’ottava meraviglia del mondo moderno: il Canale di Panama.

I primi a pensarci furono i conquistadores spagnoli: Hernan Cortes ne scriveva a Carlo V, che nel 1534 incaricava alcuni esperti di studiare la situazione. Tra il 1580 e il 1587, agli ordini di Filippo II di Spagna, l’ingegnere italiano Giovanni Battista Antonelli percorre in lungo e il largo tutto l’istmo centro-americano, concludendo alla fine che sia impossibile costruire un canale navigabile. Trecento anni dopo (e altri vari tentativi falliti, quando erano ancora su carta), sull’onda dell’entusiasmo per l’appena completato Canale di Suez in Egitto, i francesi cominciano a progettare seriamente l’impresa, nel 1881.

Per farlo non badano a spese, e mettono al lavoro le migliori menti dell’epoca: l’imprenditore e diplomatico Ferdinand de Lesseps, l’uomo dietro la realizzazione dello stesso Canale di Suez e poi Gustave Eiffel, l’ingegnere famoso soprattutto per la nota torre che ancora oggi svetta nel cielo parigino. Nonostante il dispiegamento di forze e di denaro (oltre 200 milioni di dollari), l’impresa fallisce, scontrandosi contro una serie di ostacoli naturali e tecnici. Primo, il clima tropicale e le malattie a cui gli operai europei non sono abituati: tra malaria e febbre gialla, ne muoiono circa 20mila entro il 1889, anno in cui la compagnia francese va in bancarotta.

Non sono solo gli animali pericolosi e le malattie tropicali a mandare in fumo i sogni francesi, ma anche gli ostacoli tecnici, a cominciare dal Culebra, una cresta montuosa alta circa 100 metri che ostacola lo scavo del canale dal lato del Pacifico. Tra dinamite e pale a vapore, l’equipe francese scava circa 14 milioni di metri cubi di roccia, “segando” in due il rilievo, ma non riuscendo a completare l’opera: i due progetti francesi falliscono nel 1889 e nel 1894. Bisognerà attendere dieci anni prima che qualcun altro si incarichi di portare a termine il piano.

Questo qualcuno sono gli Stati Uniti di Theodore Roosevelt, che pagano 40 milioni di dollari per continuare i lavori iniziati dalla Francia. Qui le vicende progettuali si intersecano con quelle geopolitiche: all’epoca infatti Panama fa parte della Colombia, che non ha intenzione di concedere la gestione dell’istmo agli Stati Uniti. Per questo, gli Usa inviano sul territorio una nave da guerra e appoggiano un movimento indipendentista. Il 3 novembre 1903 la Repubblica di Panama dichiara la sua indipendenza dalla Colombia, e il mese successivo viene firmato il trattato Hay-Bunau Varilla, con cui si garantisce agli Stati Uniti il diritto di costruire e amministrare il Canale di Panama: solo alla fine del secolo, il 31 dicembre 1999, i panamensi diventeranno ufficialmente proprietari del canale.

In dieci anni, dal 1904 al 1914, gli Stati Uniti, guidati dal colonnello e ingegnere Goethals, completano il canale, lungo in tutto 81 chilometri. Nella parte centrale, invece che continuare nelle complicate operazioni di scavo, gli americani hanno la felice intuizione di deviare il corso del fiume Chagres con una diga, permettendogli di inondare i territori e di creare un lago artificiale, il lago di Gatun, attraverso cui le navi transitano per circa 33 chilometri. Il fiore all’occhiello del Canale di Panama sono comunque le chiuse presenti in entrata e in uscita sia sul lato pacifico sia su quello atlantico. Sono bacini larghi 33 metri e lunghi 320, con una porta di ingresso e una di uscita, circondati da pareti di cemento spesse 15 metri alla base e due metri e mezzo sui lati, mentre sotto di essi scorre l’acqua in un sistema di tunnel, tubi e valvole.

Le chiuse funzionano con il principio dei vasi comunicanti, riempiendosi o svuotandosi per consentire alle navi di superare un dislivello totale di circa 26 metri. Se devono salire, l’acqua viene pompata nel livello basso, sollevando la nave, se invece le imbarcazioni devono scendere, l’acqua viene tolta e fatta defluire: uno sforzo considerevole, visto che per sollevare una nave di quelle dimensioni (molte sono progettate su misura per entrare nei bacini, da qui il nome Panamax) servono oltre 100mila metri cubi di acqua, l’equivalente di una cinquantina di piscine olimpioniche. A guidare le operazioni ci sono le mulas, delle piccole locomotive elettriche che scorrono su dei binari adiacenti alle chiuse e controllano il passaggio delle navi, ancorandole al centro. Nel 2006 alle sei chiuse esistenti ne sono state aggiunte altre due, larghe oltre 50 metri e lunghe oltre 400, per permettere il transito a navi di maggiori dimensioni, le New Panamax, capaci di trasportare il doppio del carico.

Considerando che la circumnavigazione del Sud America richiede tra le tre e le quattro settimane, mentre per attraversare il Canale di Panama bastano appena dieci ore, si capisce subito come quest’opera sia importante anche a livello ambientale, per via del risparmio di carburante (e quindi di emissioni di gas serra). Nel 2010 ha attraversato il Canale di Panama la milionesima nave dalla sua inaugurazione, mentre dal 1914 a oggi oltre 300 milioni di tonnellate di merci sono transitate da quelle parti. Ancora oggi, chi lo attraversa concorda nel definirlo una meraviglia nata dall’ingegno umano.


Gianluca Cedolin - Giornalista veneziano. Ha seguito la cronaca di Milano per Repubblica e ora per Linkiesta, racconta storie dal mondo dell'ambiente per Ohga, scrive di sport per Rivista Undici e altre testate. Ha pubblicato dei reportage su GQ e Yanez Magazine e un libro con Giulio Perrone Editore. Dal 2019 collabora con Pirelli, per cui ha scritto la serie podcast The Roots. Lavora come assistant producer per Prime Video.

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