Pearl Brewery Redevelopment MasterPlan

Pearl Brewery Redevelopment MasterPlan. Vincitore del premi Charter nel 2015, Lake | Flato Architects ha riprogettato la Pearl Brewery da 26 acri a San Antonio in una centrale economica e sociale, che attira 10mila visitatori all'anno in un nuovo mercato agricolo, ristoranti, negozi e spazi verdi (ph. courtesy of Congress for the New Urbanism)

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«Meno auto, più pedoni»: la storia americana del New Urbanism

L’evoluzione urbanistica accompagna da sempre i cambiamenti della società negli Stati Uniti, nell’offrire soluzioni per la città e per l’abitare. Il New Urbanism è una scuola di pensiero tuttora vitale nell’offrire soluzioni che puntano a tutelare senso di comunità e a limitare il consumo di risorse ambientali, opponendosi allo “sprawl” delle periferie americane

Nel vecchio West americano immortalato dal grande cinema, le case, gli empori, la banca e il saloon si distribuivano, compatti e accessibili, intorno alla Main Street, la principale arteria del villaggio. Un modello urbano, questo, divenuto però obsoleto e residuale, negli Stati Uniti e non solo, dopo la Seconda guerra mondiale. Con l’avvento dell’automobile di massa, la grande periferia delle case monofamiliari circondate dal verde si è imposta come paradigma di riferimento.

Un ideale di sicurezza e benessere, oltre che uno status symbol, messo in dubbio, dopo i “Trenta Gloriosi”, da problematiche di ordine sociale ed urbanistico. Col passare degli anni, l’enorme consumo di suolo dovuto ad una rarefatta densità abitativa ha finito per apparire sempre più come un’aberrazione ambientale. Non solo: l’atomizzazione dell’abitare si lega a doppio filo allo sfilacciamento dei legami sociali, a un diffuso sentimento di solitudine, a una distribuzione dei servizi non ottimale, soprattutto riguardo le fasce deboli della popolazione, come gli anziani.

Per contrastare la narrativa del “sub-urban”, il movimento americano del New Urbanism tenta di affermare una visione dello sviluppo della città che fa di una maggiore densità e dell’incentivo agli spazi pedonali il parametro per affrontare sia la costruzione, sia la riconversione urbanistica. La sua fondazione viene ufficialmente fatta risalire al 1993 con il primo congresso dell’associazione. Peter Calthorpe, Andrés Duany, Elizabeth Moule, Elizabeth Plater-Zyberk, Stefanos Polyzoides e Dan Solomon, architetti, urbanisti e sociologi americani, sono riconosciuti come i fondatori, mentre a Peter Katz (autore del volume “The New Urbanism: Toward an Architecture of Community”, 1993), sarà affidata la coordinazione del movimento. Il Congress for New Urbanism si tiene con cadenza annuale (il 31esimo CNU si è tenuto a fine maggio a Charlotte, North Carolina), per dibattere tesi e casi di pedonalizzazione, pianificazione e gestione degli spazi pubblici, rafforzamento del senso e del coinvolgimento della comunità (definito “placemaking”), tra gli oltre 1.600 iscritti dell’associazione.

La limitazione dello spazio per l’automobile e la densificazione di servizi a prova di pedone, rappresentano per il New Urbanism il compasso attraverso il quale misurare lo sviluppo di un quartiere a vocazione eterogenea ed inclusiva, che articola senza soluzione di continuità edifici residenziali, spazi di lavoro e commerciali e trova proprio nell’antica “Main Street” il cardine intorno al quale orientare la socialità e l’identità del luogo.

Una visione urbanistica che sposa talvolta il sostegno alla politica del “mixed-income housing”, che sprona l’introduzione di quote residenziali ad affitto calmierato per favorire diversità sociale, e sostiene iniziative di lobbying presso il decisore pubblico per promuovere una città più accessibile e coesa per tutti. La preservazione del genius loci, motivato dalla necessità di rafforzare un senso di appartenenza oltre che da quella di controbilanciare gli appetiti esorbitanti dei promotori immobiliari, pende per la difesa delle costruzioni tipiche della “small town”, ma si combina ad una rinnovata consapevolezza sostenibile, secondo la quale lo spazio urbano non può più essere considerato come una risorsa infinita, né tantomeno può essere eternamente cementificabile.

I progetti più noti del New Urbanism sono da ritrovarsi negli Stati Uniti del Sud. Seaside, in Florida, è considerato il primo. Progettata ed edificata a partire dagli anni ‘80 su un terreno privato seguendo la pianificazione di Andres Duany and Elizabeth Plater-Zyberk, la cittadina costiera si estende su 32 ettari, stimati come la superficie ottimale per garantire un’efficace mobilità pedonale, e include, oltre a unità residenziali, anche scuole, un centro civico, una cappella interconfessionale oltre a luoghi culturali e ricreativi. 

Kentlands, in Maryland, è un altro caso studio esemplare. Caratterizzata da una griglia urbana compatta, con abitazioni senza prati frontali, combina residenze di stili eterogenei (vittoriana, coloniale e neoclassica) e ripensa la disposizione e l’accesso al garage: non più un blocco affiancato all’edificio e raggiungibile dalla facciata anteriore, ma un volume integrato raggiungibile da vicoli sul retro.

L’applicazione dei principi del New Urbanism va però oltre la costruzione di nuovi quartieri: con i progetti di sprawl retrofitting (“riqualificazione diffusa”), intere periferie in Georgia, California, Maryland, Colorado, Massachusetts, e Arizona sono state ripensate secondo le lenti di una maggiore densità: ricreando dei piccoli centri e snodi all’interno di aree policentriche, incrementando l’efficienza del trasporto pubblico, eliminando parcheggi dal fronte strada, piantumando spazi verdi, diversificando le tipologie edilizie a vantaggio di una maggiore inclusività. 

A discapito della sua notorietà, e di una fascinazione per il modello urbanistico europeo rivendicato come esplicito caso studio, il New Urbanism non acquisterà mai in Europa una posizione scevra da critiche. La prima è generalmente legata ad una identificazione dei modelli proposti dal New Urbanism con la fenomenologia delle “gated communities”, compound di abitazioni che, in virtù dei perimetri di sicurezza che li delimitano, vietano l’accesso e la fruizione di spazi e servizi a coloro che, spesso per questioni di censo, vivono al di fuori di questa specifica comunità.

Un’altra contestazione è relativa ad un’idea passatista, almeno secondo i detrattori, dei linguaggi architettonici di riferimento, che vedrebbero nell’architettura tradizionale americana un modello ancora attuale, a scapito di una scarsa vicinanza alle istanze del contemporaneo. Diffidenze che la grande distanza di mindset tra vecchio e nuovo continente potrebbe almeno parzialmente spiegare. Si pensi al dibattito sulla città dei quindici minuti, tanto dibattuta in Europa dopo il Covid: un modello, mutatis mutandis, che meglio di qualsiasi altro potrebbe gettare un ponte ed aprire a punti di contatto e istanze di confronto tra le due sponde dell’oceano.


Giulia Zappa - Fiorentina di nascita e oggi parigina di adozione, si occupa di comunicazione nel campo del design, dove si appassiona senza soluzione di continuità ai grandi classici come alle ricerche speculative o ai progetti scalabili. Ha scritto per numerose testate tra cui Domus, Icon Design e Artribune. Oltre al giornalismo, collabora con le Nazioni Unite per lo sviluppo di progetti legati alle industrie creative e alle energie rinnovabili.

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