A wind farm in the desert

Molti Stati del Golfo hanno iniziato a incentivare la diversificazione energetica e gli investimenti in settori non petroliferi

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Oltre il petrolio? Cosa gli Stati del Golfo stanno davvero facendo per la transizione green

Come ha chiaramente dimostrato ancora una volta la COP28 di Dubai, gli Stati del Golfo mirano a diventare hub globali per la diplomazia climatica. Ma per concretizzarsi, la transizione green ha bisogno di fondi, innovazione e opportunità di mercato: scopriamo quindi quali sono gli impegni concreti presi in prima persona da alcuni dei maggiori produttori di combustibili fossili al mondo

L’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28) ospitata dagli Emirati Arabi Uniti si è conclusa con un accordo che alcuni osservatori hanno definito storico. Per la prima volta in assoluto, nel comunicato finale i partecipanti al summit si sono impegnati ad “allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in un modo equo, ordinato e giusto”, adottando un accordo di eliminazione graduale dei combustibili fossili per “raggiungere lo zero netto entro il 2050”. 

Il primo bilancio globale si propone di accelerare gli sforzi per la riduzione graduale dell’energia da carbone e l’eliminazione degli inefficienti sussidi ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o le giuste transizioni, “triplicando la capacità da fonti rinnovabili di energia a livello globale e raddoppiando il tasso medio annuo globale di efficienza energetica entro il 2030”.

E non è tutto: finalmente 159 nazioni hanno firmato la Dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti e l’azione per il clima della COP28 degli EAU per integrare un sistema alimentare resiliente nei propri contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions, NDC), al fine di ridurre la vulnerabilità di tutti gli agricoltori, pescatori e altri produttori di cibo agli impatti dei cambiamenti climatici, promuovere la sicurezza alimentare e la nutrizione, sostenere le agricoltrici e i giovani che vedono i propri mezzi di sostentamento minacciati dai cambiamenti climatici, e sviluppare sistemi di gestione idrica sostenibile. Infine, ma non meno importante, è stato istituito un fondo per le perdite e i danni che fornirà aiuti per la ripresa da disastri climatici ai paesi in via di sviluppo colpiti dall’innalzamento del livello del mare, da eventi meteorologici estremi, come la desertificazione, dall’acidificazione degli oceani e dalla perdita di biodiversità.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno considerato questi risultati un successo, come dichiarato dal Presidente della COP emiratina, Sultan Al-Jaber: “Dovremmo essere orgogliosi di questo risultato storico [...]. Si tratta di un piano equilibrato che affronta le emissioni, colma il divario in termini di adattamento, ripensa la finanza globale e istituisce un fondo per perdite e danni [...]. A rafforzare il tutto sono l’inclusività e la collaborazione”.

Il suo discorso ha sottolineato ulteriormente le ambizioni degli Emirati di svolgere un ruolo influente nella diplomazia climatica globale, essendo il secondo Stato del Golfo a ospitare la COP dopo il Qatar nel 2012. La conferenza è stata quindi un’ottima occasione per gli Emirati per mostrare il loro impegno nell’azione per il clima a diversi livelli.

L’esempio più lampante è stata l’istituzione da parte degli Emirati Arabi Uniti di tre fondi Alterra, il cui obiettivo è contribuire con altri 250 miliardi di dollari entro il 2030 alle misure economiche per il clima, moltiplicando il capitale privato e riducendo le barriere agli investimenti nei mercati emergenti, compresi quelli meno sviluppati (LDC) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS). Gli sforzi degli EAU si concentrano anche sulla combinazione di finanziamenti pubblici e privati, per far leva sui fondi governativi e attrarre maggiori capitali privati per promuovere la green economy.

In particolare, gli Emirati Arabi Uniti investono già in progetti di energia rinnovabile, come i parchi solari, e sono impegnati nella GCA, che mira a fornire una piattaforma per il trasferimento di know-how, la formazione e lo sviluppo di capacità nell’azione per il clima. Un’altra iniziativa promossa dagli Emirati Arabi Uniti durante la COP28 è stata l’inaugurazione della Carta della decarbonizzazione del petrolio e del gas, che punta a ridurre le emissioni nel settore industriale, come quello petrolifero. Con l’introduzione di queste misure, gli Emirati Arabi Uniti vogliono affermarsi come “green champion” oltre che come attori privati nella mitigazione e nell’adattamento al clima globale.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno mantenuto il loro status di precursore regionale nella diplomazia climatica rispetto ad altri vicini colossi, come l’Arabia Saudita. Il regno intende inoltre proporsi come hub globale per la diplomazia climatica, ospitando a Riyadh la MENA Climate Week 2023, destinando cospicui investimenti all’idrogeno e promuovendo la Middle East Green Initiative.

Molti Stati del Golfo hanno iniziato a incentivare la diversificazione energetica e gli investimenti in settori non petroliferi. Tra il 2012 e il 2022, la capacità di energia rinnovabile installata nel CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo) è aumentata di 85 volte e paesi del Golfo come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman hanno avviato l’installazione di 14 progetti basati sull’idrogeno.

Inoltre, l’Arabia Saudita e gli EAU hanno annunciato di aver stanziato fondi rispettivamente per 266,6 e 54,5 miliardi di dollari entro il 2030 per la loro transizione energetica. A questo proposito, i “fautori” nazionali dell’energia pulita e i fondi di investimento come il saudita ACWA Power, la Qatar Investment Authority e Masdar di Abu Dhabi hanno investito in altri mercati situati in Nord Africa, Asia centrale o dell’est o Europa per diversificare il loro portafoglio energetico e sviluppare tecnologie green.

Una menzione speciale merita uno dei progetti più ambiziosi che l’Arabia Saudita abbia mai portato avanti nella sua transizione verso la sostenibilità: la megalopoli futuristica di NEOM. Situata nel nord-ovest del Paese, NEOM vuole diventare la città più innovativa e sostenibile del mondo. Estesa su una superficie di 26.000 chilometri quadrati, NEOM è concepita come un centro globale per il commercio e gli investimenti, alimentato interamente da energie rinnovabili.

Concentrandosi su tecnologie all’avanguardia e su uno stile di vita sostenibile, NEOM cerca di ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dai proventi del petrolio consentendo alla nazione di posizionarsi al contempo come leader nello sviluppo ecologico. Il prossimo World Future Energy Summit di Abu Dhabi, in calendario il 16 e 18 aprile, sarà l’occasione per scoprire tutti i nuovi progetti in campo, ma anche una piattaforma d’accesso al mercato per le aziende che vogliono lavorare e operare nel settore delle energie rinnovabili e della sostenibilità negli Emirati Arabi Uniti, nel CCG e nell’intera regione MENA, nonché un palcoscenico per presentare ed enfatizzare risultati, tecnologie, servizi e soluzioni.


Patrizia Marin - Giornalista e presidente di Marco Polo Experience, agenzia di comunicazione strategica, public affairs, marketing e media relations, con esperienza ventennale in internazionalizzazione d'impresa, comunicazione, media relations, mappatura dei decisori e della comunità dei rapporti di interesse. È stata consigliere della Presidenza italiana del Consiglio dei ministri della Comunicazione, Editoria e Informazione. Nei settori logistica e infrastrutture, è stata responsabile delle comunicazioni dell'autorità portuale di Venezia; consulente relazioni media per Aeroporti di Roma; international pr advisor per Atlantia mentre è vicepresidente di FBC. È professore a contratto in Leadership e Relazioni Internazionali presso l'università IULM ed è laureata in giurisprudenza e scienze politiche internazionali.

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