La geoingegneria sta diventando un'idea «rispettabile», come aveva affermato l'Economist già due anni fa? L'alterazione su vasta scala del clima per “riavviare” il sistema terrestre come si farebbe con un computer ingolfato dal troppo calore è una delle risposte più estreme tra quelle che vengono proposte per affrontare il problema del riscaldamento globale.
L'interesse nei confronti di tecnologie molto diverse tra loro (“geoingegneria” è da considerarsi come un termine ombrello) è andato crescendo da quando i climatologi hanno iniziato ad ammettere che la situazione si è rivelata peggiore di quanto prevedessero i modelli (2023 e 2024 sono stati i due anni più caldi mai registrati e il 2025 non è iniziato bene) e che gli obiettivi più ambiziosi di dieci anni fa (contenere l'aumento di temperature entro 1,5°C rispetto all'era pre-industriale) sembrano ormai fuori dalla nostra portata.
Anche il padre della scienza del clima, lo statunitense James Hansen, ex capo del centro studi sul clima della Nasa, sostiene da anni che la geoingegneria potrebbe essere una delle ultime carte rimaste da giocarci per evitare gli effetti peggiori dell'emergenza climatica e che quindi non siamo nella condizioni di scartarla a priori.
Potremmo definire la geoingegneria come la «tentazione del cielo»: oggi è un campo che sta attirando sempre più investimenti e attenzione ma che comporta rischi imprevisti, sia ecologici che geopolitici. La ricerca pubblica su questo fronte è in costante aumento, il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) americano ha investito 22 milioni su un nuovo progetto, l’Earth's Radiation Budget Initiative, mentre l'Advanced Research and Invention Agency (ARIA) del Regno Unito ha puntato 56 milioni di sterline su una prospettiva analoga. Anche l'Harvard's Solar Geoengineering Research Program attira sempre più fondi pubblici e privati per compiere studi su questo fronte.
Al fianco della ricerca accademica, nel settore privato stanno nascendo sempre più startup con l'obiettivo di aggregare risorse, tecnica e brevetti sull'alterazione del clima. Tra queste la più chiacchierata (anche per una serie di mosse spregiudicate negli ultimi anni) è l'americana Make Sunsets, che nel 2023 ha condotto un esperimento pirata di alterazione del meteo in Messico. Dopo quell'episodio, la geoingegneria è stata messa al bando nel paese.
Ma prima dobbiamo capire cosa intendiamo quando diciamo «geoingegneria».
Questo settore si divide in due grandi filoni. Il primo è quello più pericoloso ma, allo stesso tempo, più ambizioso: la gestione della radiazione solare (SRM). Si tratta di tecniche di varia natura, tutte concepite per lo stesso obiettivo pratico: modificare l'albedo terrestre (la capacità di assorbire calore) e riflettere parte della luce solare nello spazio per raffreddare bruscamente il pianeta. Il secondo campo è la rimozione della CO₂ (Carbon Dioxide Removal, CDR). Si tratta di tutte le strategie e le tecnologie per sottrarre carbonio all’atmosfera, è quello con meno rischi ma anche minor potenziale impatto.
Nel primo caso, parliamo innanzitutto dell'iniezione di aerosol stratosferici, per creare uno scudo riflettente contro il sole e replicare un raffreddamento simile a quello che avviene dopo una grande eruzione vulcanica. Ma ci sono anche istituti di ricerca che studiano lo schiarimento delle nuvole marine, nebulizzando acqua salata per aumentare l’albedo delle nuvole, o addirittura specchi orbitali o superfici riflettenti, ma in questo caso si tratta di proposte ancora solo teoriche. Nella seconda categoria invece ricadono direct air capture, impianti industriali che aspirano CO₂, ma anche i progetti di fertilizzazione oceanica, metodi più naturali ma a impatto lento e contenuto.
Il principale rischio è sistemico: l’atmosfera è una macchina complessa e interconnessa, che possiamo dire di conoscere ancora solo in parte. Alterarla in un punto può generare squilibri altrove. Le tecnologie SRM, per esempio, potrebbero ridurre le precipitazioni in Africa, alterare i monsoni in Asia, danneggiare l’ozono.
Inoltre, c'è un tema di governance, perché non esiste un organismo in grado di regolare queste operazioni, ed è difficile immaginare la creazione di un nuovo soggetto, in un momento in cui il multilateralismo appare così in crisi. C'è il rischio concreto di aumentare i conflitti geopolitici, come dimostrano le tensioni create dalla disavventura di Make Sunsets in Messico.
C'è inoltre il problema del cosiddetto «termination shock»: cosa accadrebbe se un progetto di Solar Radiation Management venisse all'improvviso sospeso o abbandonato da un'azienda o da un governo? C'è il rischio che un evento del genere possa causare un effetto opposto, cioè un’impennata termica repentina e devastante.
Infine, molti scienziati temono che la geoingegneria possa rappresentare la più problematica delle false soluzioni, e che possa distoglierci dalla via maestra per affrontare la crisi climatica, la riduzione delle emissioni di gas serra, creando l'illusione che i nostri sistemi energetici possano continuare con il loro “business as usual”, perché abbiamo trovato una bacchetta magica per aggiustare il clima della Terra a piacimento.
In sintesi, la geoingegneria rappresenta una soluzione ancora impossibile da valutare su vasta scala, perché è stata provata soltanto come prototipo o in via teorica. Una sua applicazione potrebbe essere il freno di emergenza del riscaldamento globale, ma potrebbe portare anche problemi imprevisti e potenzialmente più gravi rispetto alla situazione dove ci troviamo ora.
Il dibattito va affrontato con laicità, consapevoli di rischi e opportunità, puntando sulla ricerca e non sulla paura. Per interventi del genere abbiamo sicuramente bisogno di più dati e informazioni, ma anche di maggiore democrazia e partecipazione pubblica a scelte che sarebbero cruciali per il futuro di tutta l'umanità.