Le infrastrutture sostenibili hanno una maggiore durata, un impatto ambientale minore, costi di manutenzione più bassi e rendimenti superiori, secondo gli esperti di AIS

Le infrastrutture sostenibili hanno una maggiore durata, un impatto ambientale minore, costi di manutenzione più bassi e rendimenti superiori, secondo gli esperti di AIS

Infrastrutture: ecco perché (nonostante tutto) conviene ancora essere sostenibili

In un mondo attraversato da tensioni geopolitiche e da guerre commerciali, la sostenibilità rischia di essere vista più come un costo che come un valore aggiunto. Una "tentazione" da analizzare con il supporto di AIS

Non può esserci sviluppo senza sostenibilità. Perché la sostenibilità crea competitività e valore economico. Il Rapporto AIS 2025 affronta con rigore scientifico e spirito divulgativo i temi cruciali che legano sostenibilità, crescita economica, competitività e infrastrutture. Un fil rouge indispensabile che nell’ultimo anno è stato messo in discussione dai dubbi che hanno frenato la  transizione ecologica.

«Un raffreddamento politico sbagliato», spiega Lorenzo Orsenigo, presidente dell’Associazione Infrastrutture Sostenibili, riferimento per la sostenibilità del sistema infrastrutturale italiano che, nel suo ultimo studio, ha scelto di puntare sulla concretezza dei dati per dimostrare, attraverso esempi concreti, come «le imprese sostenibili siano più efficienti, competitive e pronte al futuro. Un punto di partenza per lo sviluppo delle infrastrutture di oggi e di domani», aggiunge Orsenigo se vogliamo puntare «al progresso e non solo allo sviluppo».

Una sorta di monito visto che, come racconta il curatore del Rapporto AIS 2025 Marco Panara, negli ultimi due anni il clima intorno ai temi della sostenibilità è decisamente cambiato. «Dopo una fase di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica assistiamo a un vero e proprio vento contrario, un rallentamento che in Italia riguarda le rinnovabili - spiega -. Anche in Europa, osserva, si registra una crescente resistenza nei confronti del Green Deal, con un ridimensionamento degli sforzi verso la riduzione delle emissioni e gli obiettivi di sviluppo sostenibile».

Un contesto non omogeneo a livello globale visto che, per esempio, da Cina e India arrivano segnali incoraggianti. E molte grandi imprese stanno comprendendo che il cambiamento climatico è reale, e che servono investimenti adeguati per affrontarlo.

Un panorama frammentato in cui il tempo è un fattore chiave e «il costo del non fare è spesso molto più alto del costo dell’azione». Rimandare significa esporsi a eventi climatici sempre più gravi e, di conseguenza, a danni maggiori e investimenti più onerosi per riparare.

«L’aumento delle temperature, da qui al 2030, potrebbe determinare una riduzione del 2% delle ore lavorate a livello globale, con un impatto pari a 2.400 miliardi di dollari - sottolinea Panara -. A questi si aggiungono i costi legati alla perdita di biodiversità e all’iper-sfruttamento delle risorse naturali, stimati in 2.700 miliardi l’anno».

Inoltre gli eventi estremi causano già ora un costo superiore ai mille miliardi di dollari l’anno. «Per fare un paragone, l’investimento necessario a mantenere il riscaldamento globale sotto i 2 °C sarebbe pari a un quinto dei danni economici causati dal mancato intervento».

C’è poi uno stretto legame tra crescita economica e sostenibilità. «Le imprese che investono nella sostenibilità crescono di più, attraggono investitori, talenti, innovano meglio e affrontano con maggiore forza i mercati internazionali. Non a caso, le loro quotazioni in Borsa tendono ad essere superiori rispetto a quelle delle aziende più conservative». È in questo quadro che le infrastrutture sostenibili diventano una opportunità strategica. E possono fare la differenza.

«Il patrimonio infrastrutturale globale è spesso obsoleto e carente - evidenzia Panara -. Servono investimenti massicci, e devono essere indirizzati verso infrastrutture sostenibili. Sono proprio queste le più esposte ai rischi climatici, ma anche quelle che offrono le maggiori opportunità». In Europa serve recuperarle e adeguarle alla sostenibilità, nei Paesi in via di sviluppo crearne di nuove secondo queste metriche.

«I dati dimostrano che le infrastrutture sostenibili hanno una maggiore durata, un impatto ambientale minore, costi di manutenzione più bassi e rendimenti superiori: fino al 20% in più rispetto a quelle tradizionali». Non solo una scelta etica, dunque, ma anche economica. «La sostenibilità è una necessità, non un’opzione. E soprattutto è un’opportunità».

Un nodo cruciale, secondo Panara, è arrivare rapidamente a una tassonomia chiara delle infrastrutture sostenibili, per facilitare anche gli investimenti privati. «Se pianificate e gestite con rigore, le infrastrutture green sono altamente redditizie, ideali per investitori a lungo termine e con basso profilo di rischio. Sarebbe utile in Italia che questa tassonomia entrasse nel Codice degli Appalti, ma per ora non è così», commenta Panara.

«Pur senza requisiti obbligatori - conclude Orsenigo –, c’è tuttavia da osservare che gli attori italiani che operano nelle infrastrutture hanno capito quanto sia importante la sostenibilità delle opere stesse, una condizione che le rende anche più certe, finanziabili e a minor rischio di fallimento».

Non a caso esistono molti progetti certificati con protocollo Envision uno strumento creato negli Stati Uniti che aiuta a progettare e valutare opere infrastrutturali (come strade, piazze e ferrovie) in base a criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, utilizzando un framework di 64 indicatori. Le opere vengono poi certificate in base a quattro livelli (verified, silver, gold, platinum) a seconda dei punteggi raggiunti. Questa metrica permette di effettuare investimenti con un ritorno in termini di durata dell'opera, ciclo di vita sostenibile e tutela della qualità della vita. E infine facilita il processo decisionale, promuove la trasparenza e coinvolge gli stakeholder.


Sofia Fraschini - Giornalista economico-finanziaria, laureata in Sociologia a indirizzo Comunicazione e Mass media, ha iniziato la sua carriera nel gruppo Editori PerlaFinanza (gruppo Class Editori) dove ha lavorato per il quotidiano Finanza&Mercati e per il settimanale Borsa&Finanza specializzandosi in finanza pubblica e mercati finanziari, in particolare nei settori Energia e Costruzioni. In seguito, ha collaborato con Lettera43, Panorama, Avvenire e LA7, come inviata televisiva per la trasmissione L’Aria che Tira. Dal 2013 lavora come collaboratrice per la redazione economica de Il Giornale e dal 2020, per il mensile del sito Focus Risparmio di Assogestioni.

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