Il turismo può diventare strategico nel ridurre le conflittualità potenziali tra Stati

Il turismo può diventare strategico nel ridurre le conflittualità potenziali tra Stati

«Il turismo come motore di pace nel Mediterraneo. Ma con strategia»

Uno strumento di soft power, dialogo e diplomazia tra paesi, nel rispetto di storia, identità e risorse dei territori. Uno studio del CNR-ISMed mette in luce le potenzialità del turismo per le comunità nell'area del Mediterraneo

«Valorizzare le identità, la storia e la cultura di un territorio. Coinvolgere la comunità locale. Gestire i flussi dei visitatori. Sviluppare una politica dell'accoglienza e formare gli operatori turistici». Sono questi i pilastri su cui sviluppare un turismo sostenibile e consapevole come fattore di pace e di resilienza nei paesi del Mediterraneo, secondo Piera Buonincontri, prima ricercatrice dell‘Istituto di Studi sul Mediterraneo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISMed).

L'Istituto ha pubblicato da poco “Tourism and Peacebuilding in the Mediterranean Region: Navigating conflict, fostering reconciliation, and promoting development”, quinto volume dei “Tourism Studies on the Mediterranean Region” (McGraw-Hill) a cura di Buonincontri, Luisa Errichiello, dirigente di ricerca ISMed e Roberto Micera, professore di Economia all'Università della Basilicata.

La collana, inaugurata nel 2020, accoglie studi e ricerche basati ogni anno su una tematica differente: la ripresa del turismo post-pandemia, l'impatto delle tecnologie 4.0, il ruolo dell'enogastronomia, la governance ai fini della sostenibilità. L'ultimo volume è stato presentato alla fiera di settore TTG di Rimini in un incontro dal titolo esplicito: “Il turismo come motore di pace nel Mediterraneo: il ruolo del settore nella Nuova Era”.
 

Buonincontri, in che senso il turismo può essere un “motore di pace”?

«Dai contributi raccolti nella ricerca emerge come il turismo possa diventare strategico per ridurre le conflittualità potenziali. Naturalmente, il turismo è soggetto a fattori incontrollabili come conflitti, crisi o disastri che talvolta interagiscono tra loro. Non va quindi frainteso come un mezzo per gestire situazioni di guerra, ma va inteso come strumento di diplomazia e di soft power. Può aiutare a gestire i rapporti tra paesi che sono stati in conflitto in anni precedenti, che sono culturalmente differenti ma vicini geograficamente, caratterizzati da livelli diversi di sviluppo turistico, per generare un ciclo virtuoso di scambio e conoscenza».
 

Per esempio?

«È possibile favorire un'apertura maggiore in modi diversi. Per esempio, attraverso la valorizzazione culturale della memoria dei conflitti stessi, come avvenuto nel comune di Vinca, in Italia; con la gestione strategica del turismo come strumento di diplomazia nella politica estera della Grecia; l'organizzazione di mega eventi come il Forum della Gioventù che si è tenuto in Egitto; l'educational tourism, legato alla mobilità universitaria in Erasmus. E molto altro ancora».
 

Qual è la peculiarità del Mediterraneo, in questo discorso?

«C'è un forte nesso tra turismo e Mediterraneo, un'area geografica caratterizzata dalla presenza di tanti paesi molto vicini ma anche molto diversi tra loro, in termini culturali e religiosi che possono generare conflittualità. Paesi poveri e paesi ricchi, caratterizzati da fasi di sviluppo totalmente diverso. Quelli del Mediterraneo europeo, per esempio, hanno una cultura, un livello di innovazione e di apertura molto diversa da quelli della sponda sud».
 

Perché si parla di “Nuova Era”?

«Siamo in una fase caratterizzata da un forte sviluppo delle tecnologie ma anche dalla presenza di conflittualità. In Italia emergono due bisogni. Primo, rafforzare la politica dell'accoglienza tra comunità ospitante e turista, facendo conoscere al visitatore la realtà che lo ospita. Secondo, la necessità di una maggiore formazione destinata agli operatori del settore per far emergere e promuovere il ruolo delle imprese turistiche come soggetti che interagiscono positivamente nel condividere aspetti identitari nei confronti del turista».
 

Sullo sfondo c'è il problema dell'overtourism?

«Certo, e richiama il tema della sostenibilità. I contributi raccolti nel volume osservano il legame tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile legati alla pace indicati nell'Agenda 2030 dell'Onu con quelli legati alla sostenibilità ambientale e sociale. Una maggiore cura del territorio e della comunità favoriscono un clima pacifico».
 

Sono un caso di cronaca le proteste dei residenti contro i turisti avvenute a Venezia e Barcellona, giusto per restare nel Mediterraneo...

«Questo è avvenuto perché non c'è stata una pianificazione condivisa da parte della cittadinanza, ma un'invasione turistica. La cultura e l'identità sono state spesso calpestate. Pensiamo alle maschere 'Made in China' del Carnevale di Venezia, vendute come souvenir: in quel caso viene raccontata un'identità falsa del territorio. È quindi necessario far parlare la comunità ospitante e che l'operatore turistico abbia più consapevolezza del proprio ruolo. Va poi stabilito quali linee il turismo non deve superare».
 

Quali sono le premesse indispensabili, a livello di governance?

«L'utilizzo di modelli partecipativi, il coinvolgimento attivo di una comunità interessata allo sviluppo del turismo, aperta a chi visita un luogo. Vanno rispettate e valorizzate l'identità, la cultura e la storia delle comunità, fattori distintivi di sostenibilità e di vantaggio competitivo per lo stesso sistema economico del turismo in un territorio. Evitare di generare resort che restano dei non-luoghi indifferenti rispetto alla località in cui vengono creati ed evitare altresì che il turismo giochi un ruolo negativo, ossia che diventi uno strumento di chiusura nei confronti dei turisti provenienti da alcuni paesi».
 

Cosa si può fare a livello statale e locale?

«A livello locale si sta ragionando a livello di destination management. I piccoli paesi non riescono ad attirare da soli un turismo positivo, sostenibile e di sviluppo ma questo si può fare in termini più ampi, abbracciando i paesi vicini che hanno omogeneità in termini turistico-attrattivi, attraverso un soggetto gestore e promotore del territorio. Ci sono poi le nuove idee sostenibili, come il turismo 'delle radici', che porta le famiglie a riscoprire i propri luoghi di origine. In questo caso il turismo non consuma risorse ma porta valore e riconosce al tempo stesso l'identità di un territorio. A livello nazionale si parla di una migliore gestione turistica che riesca a gestire i fenomeni dell'overtourism (tasse di soggiorno, limiti all'accoglienza extra alberghiera), moderare i flussi limitando la presenza fisica di turisti e la capacità dell'accoglienza».

Foto di Alkis Ischnopoulos su Unsplash


Daniele Monaco - Giornalista freelance, ha collaborato con Ansa, QN-Il Giorno e con Wired Italia. Scrive di Economia e Internet, affiancando anche uffici stampa e agenzie di comunicazione come copywriter e consulente per la produzione di contenuti inerenti la trasformazione digitale, innovazione, sostenibilità, Industria 4.0, per realtà corporate, associazioni, enti pubblici, consorzi e startup. Professionista dal 2010, si è laureato all'Università degli Studi di Milano, città dove risiede e ha conseguito un master in Giornalismo presso l'Università Cattolica.

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