Infrastrutture a rischio nell'Artico per il cambiamento climatico

Il riscaldamento globale sta causando il disgelo dei terreni che nella regione artica sono perennemente ghiacciati (permafrost). Il dissesto nei suoli provoca danni immediati alle opere umane, un ingente impatto sugli attuali ecosistemi e il rilascio di nuovo carbonio in atmosfera

L’Artico sprofonda insieme alle sue infrastrutture. Il riscaldamento anomalo dei terreni che in questa regione sono ghiacciati in modo permanente ha già creato infatti una serie di danni alle opere umane: le fondamenta delle abitazioni cedono, le strade crollano, le tubature sottostanti si deformano, e il fenomeno riguarda anche l’industria di oleodotti, gasdotti e opere collegate.

L’allarme è arrivato da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Nature Reviews Earth & Environment, secondo la quale quasi il 70% delle infrastrutture a nord del 66° parallelo sono da considerarsi ad alto rischio entro il 2050, proprio a causa del progressivo scioglimento del permafrost.

Dagli anni ‘80 la temperatura di quella parte di terreno congelata tutto l’anno, si è riscaldata tra 0,3 e 1 grado Celsius ogni decennio. In alcune parti dell’Artico si parla addirittura di un aumento pari a più del triplo della media globale, a causa della quantità di combustibili fossili bruciati.

Il permafrost copre tra 5 e 7 milioni di miglia quadrate di queste regioni e immagazzina quasi 1,9 trilioni di tonnellate di carbonio. Man mano che si riscalda e diventa più instabile, non solo minaccia le infrastrutture costruite dall’uomo, ma sciogliendosi rilascia in atmosfera il carbonio che prima era intrappolato nel suolo, aggravando così ulteriormente i fattori alla base del cambiamento climatico. 

Secondo gli scienziati questa tendenza non si arresterà. Dalle immagini satellitari si stima infatti che almeno 120mila edifici, 40mila chilometri di strade e 9.500 km di gasdotti potrebbero essere seriamente a rischio, costituendo una reale minaccia lungo le strade canadesi, l’Alaska e le infrastrutture delle città russe di Vorkuta, Yakutsk e Norilsk: le aree maggiormente colpite.

Nonostante le fondamenta dell’Artico stiano già conoscendo i pericoli del fenomeno, dal 2000 le infrastrutture costiere sono aumentate del 15%. Circa il 70% di questa crescita è legato all’industria petrolifera e del gas, e nonostante la manutenzione di gasdotti, strade ed edifici costerà 15,5 miliardi di dollari, si stimano oltre 20 miliardi di ulteriori danni.

Un esempio dei disastri causati dallo scioglimento del permafrost è stata la grave fuoriuscita di petrolio nel 2020 nella città russa di Norilsk. Una falla in un serbatoio di carburante causò la perdita di 20mila tonnellate di gasolio che finirono per inquinare un fiume. Tra le conseguenze dovute a questo progressivo scioglimento, oltre al continuo sprofondare di edifici e strade cittadini, vi sono infatti altre potenziali calamità per il pianeta, tra cui il già citato rilascio di gas serra a ritmi accelerati, il diffondersi di virus e batteri, danni incalcolabili agli ecosistemi e alla biodiversità e ancora frane e dissesti idrogeologici.


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