Tutte le soluzioni tecnologiche devono essere prese in considerazione, per accelerare la riduzione delle emissioni, nella transizione green delle infrastrutture

Tutte le soluzioni tecnologiche devono essere prese in considerazione, per accelerare la riduzione delle emissioni, nella transizione green delle infrastrutture

Tassonomia “green” nell’Ue: serve un approccio aperto

Il principio “do no significant harm” non può trasformarsi in un ostacolo. Una valutazione d’impatto comparativa e strategica degli investimenti sarebbe invece più efficace nel sorreggere la transizione verde, all’interno del “vocabolario” condiviso per orientare la finanza sostenibile

Gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto giocano un ruolo fondamentale per il successo della strategia europea del Green Deal: sviluppo del trasporto su ferro, evoluzione in chiave sostenibile del trasporto su gomma, tecnologie di transizione nel trasporto marittimo e in quello aereo sono essenziali per centrare l’obiettivo europeo di riduzione del 55% delle emissioni di anidride carbonica (CO₂) entro il 2030.

Lo sviluppo di questi investimenti passa però per un chiarimento in tempi rapidi del principio “non arrecare danno significativo”. Per una sorta di eterogenesi dei fini, l’interpretazione del principio adottata nei documenti europei fino all’autunno scorso rischia infatti di produrre effetti paradossali contrari alla transizione verde, escludendo dalla tassonomia per la finanza sostenibile progetti decisivi per accelerare la riduzione delle emissioni. Non si tratta solo della loro esclusione dall’ambito di impiego delle risorse della Recovery and Resilience Facility, e quindi dai Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), ma più in generale dell’orientamento che viene fornito riguardo alla compatibilità con il percorso della transizione ecologica dell’allocazione delle risorse finanziarie, anche di quelle private.

Il principio “do no significant harm” (DNSH), introdotto con il Regolamento 2020/852 sulla Tassonomia, costituisce di per sé un’innovazione positiva che assicura la coerenza interna della strategia europea, evitando che i progressi nel perseguimento di un obiettivo ambientale vengano realizzati a spese di altri obiettivi ambientali. Ma il modo molto particolare con cui è stato declinato nei successivi Atti applicativi del Regolamento (in particolare COM 2021/1054) ha prodotto un “collo di bottiglia” che può frenare progetti di grande valenza proprio per la transizione verde.

Sono due le prescrizioni che contribuiscono a determinare questa impasse. La prima dispone che ai fini della valutazione DNSH l’impatto di una determinata misura vada considerato “in termini assoluti”, ossia “rispetto a una situazione senza alcun impatto ambientale negativo”, non rispetto “all’impatto di un’altra attività esistente o prevista che la misura potrebbe sostituire”. La seconda impone “una valutazione DNSH specifica per ciascuna misura” dei PNRR, cosicché “la valutazione DNSH non dovrà essere effettuata a livello del Piano o delle singole componenti del Piano, bensì a livello di misura”. 

I paradossi che da questa impostazione derivano sono molteplici. Qui ne richiamo uno di particolare rilevanza. Poiché il gas naturale produce emissioni di CO₂ in termini assoluti, per quanto molto inferiori a quelle del petrolio e del carbone, il suo utilizzo in sostituzione di questi ultimi nel sistema dei trasporti e nelle attività manifatturiere non può che violare il criterio come sopra definito. Né si considera il ruolo che quella sostituzione può giocare nella road-map europea verso la decarbonizzazione, giacché il singolo investimento viene analizzato espungendolo dal contesto entro il quale può rivelare la propria valenza nel percorso di riduzione delle emissioni.

Per il bene della transizione verde è quindi necessario e urgente correggere questa impostazione per costruire un quadro generale di applicazione del principio DNSH in grado di sorreggere, non di ostacolare, il complesso delle grandi scelte strategiche di cui il Green Deal ha bisogno. I passaggi chiave sono due.

Il primo consiste nell’adottare un criterio di valutazione dell’impatto ambientale di tipo comparativo, non assoluto: ciò che conta per accelerare l’abbattimento delle emissioni o dell’inquinamento è il beneficio ambientale netto di un investimento. Un progetto quindi deve essere valutato non rispetto a un ipotetico stato di natura ma comparativamente alle attività che con quell’investimento si vanno concretamente a sostituire e che sono già in essere o sarebbero in futuro realizzate se non si facesse l’investimento in questione.

Il secondo passaggio consiste nel fatto che quella valutazione in termini comparativi va effettuata considerando l’investimento nel quadro della strategia di transizione verde che lo Stato membro è tenuto ad adottare, quindi con riferimento al ruolo che gioca entro il percorso di incremento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, di avanzamento sul fronte dell’efficienza energetica, di riduzione delle fonti inquinanti, di tutela delle risorse naturali e della biodiversità.

I due criteri di valutazione indicati – comparativa e strategica - consentirebbero di definire un quadro generale di applicazione del principio “do no significant harm” a prova dei paradossi che, quelli sì, rischiano di arrecare danni pesanti alle prospettive del Green Deal. La realizzazione di infrastrutture al servizio della transizione verde richiede un approccio che guardi con mente aperta a tutte le soluzioni tecnologiche utili ad accelerare la riduzione delle emissioni e il conseguimento degli obiettivi ambientali dello sviluppo sostenibile.


Claudio De Vincenti

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