Non grattacieli illuminati a giorno da schermi giganti, non macchine volanti, non atmosfere claustrofobiche immerse in una pioggia senza fine. Il futuro delle città del mondo va decisamente in un’altra direzione rispetto agli inquietanti panorami descritti da Philip K. Dick e riversati sul grande schermo da Ridley Scott in Blade Runner per la Los Angeles degli anni Duemila. O almeno questa è l’intenzione globale delle metropoli di fronte al cambiamento climatico e alle crisi geopolitiche ed economiche in atto.
Sempre più poli di attrazione - generano oltre l’80% del Pil mondiale ma anche il 70% delle emissioni di carbonio totali - le città sono chiamate ad un unico sforzo collettivo: cambiare direzione senza cambiare identità, anzi rafforzandola verso una trasformazione di qualità. Secondo le stime del World Economic Forum, ci sono 3,1 trilioni di dollari di finanziamenti privati da investire in energia rinnovabile, trasporti pubblici, rifiuti e acqua entro il 2030. «Se entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà in città e se meno di un terzo di esse ha ora un piano per il clima e la salute, allora entro il 2050 avremo una buona fetta di popolazione mondiale impreparata alle sfide climatiche e sanitarie», ha sottolineato Lauren Sorkin-Yeo, direttore esecutivo del Resilient Cities Network.
È dunque aperta la sfida alla trasformazione per restare competitive in una fase globale di transizione. Non per fini politici, come furono i grandi sventramenti parigini di Haussmann a metà Ottocento o quelli romani del Ventennio fascista che pure diedero un accento unico alla Ville Lumière e alla Città Eterna, ma proprio per una nuova vivibilità, meno autocentrica e più umana, grazie a una mobilità più sostenibile, a interventi di recupero e riutilizzo edilizio e a nuove piantumazioni del verde urbano.
Ad esempio la Roma dei Giubilei - quello del Duemila ma anche quello corrente - ha spinto sulla riqualificazione soprattutto delle grandi arterie di comunicazione come la nuova grande piazza Pia, tutta pedonale, davanti al Vaticano servita dal sottopasso di Castel Sant’Angelo. Torino invece ha impresso una accelerazione notevole alla sua era post-industriale grazie non solo ai fondi del Pnrr incardinati in lungimiranti piani regolatori ma soprattutto grazie al coinvolgimento attivo delle Università che trainano un complesso ecosistema economico. Si pensi all’area ovest vicino Corso Francia con il nuovo campus di Grugliasco o all’area nord a Corso Marche con il recupero della Cavallerizza. O ancora: il 25 luglio è stato presentato il masterplan del progetto di rigenerazione “Aurora-Barriera” finanziato con 25,8 milioni nell’ambito dei Progetti di territorio del Programma nazionale metro plus 2021-2027. Cosa c’è nel masterplan che coinvolge una popolazione di 90mila persone? Spazi urbani più verdi e vivibili, più illuminazione, recupero di spazi dismessi o chiusi, l’avvio della realizzazione della Linea 2 della metropolitana.
Pioniera della nuova ondata di rigenerazione urbana fu, negli anni Ottanta-Novanta del Novecento, Barcellona con il suo Waterfront che ancora oggi fa scuola con la rivalutazione del porto e della spiaggia in un luogo urbano unico, volano per il miglioramento della qualità cittadina e per lo sviluppo del turismo. Non solo, la municipalità catalana ha rinnovato la sua sfida proprio alla vigilia della pandemia di Coronavirus con l’housing cooperativa di La Borda, un’area dismessa della città interamente riqualificata in stile scandinavo. La seguì Lione, la terza città della Francia, che attraverso una politica di partecipazione attiva della cittadinanza ridisegnò con Pan Bleu - integrazione di 55 comuni per 1,2 milioni di abitanti, dove centro e periferia si compenetrano - e Trame Verte - città giardino - divenne un altro esempio da seguire. Il cardine è stato il trasporto pubblico di superficie raccordato con grandi viali pedonali o piste ciclabili. Il piano di illuminazione ha fatto il resto tanto che l’iniziativa ha prodotto il Festival de la Lumière che si svolge ancora oggi annualmente nella città. Ma il fiore all’occhiello è stata sicuramente La Confluence, il piano di riqualificazione urbana alla confluenza dei fiumi Rodano e Saona: ex quartiere industriale è ora un distretto digitale all’avanguardia.
Il testimone della trasformazione urbana è stato preso da Montreal, la più europea delle metropoli del Nord America, che dopo il restyling della città vecchia e del Centre Hospitalier de l’Université de Montreal, ha varato un ambizioso piano di sviluppo imperniato sulla riduzione dell’impronta di carbonio. La sostenibilità è infatti il filo rosso, o meglio green, del “2050 Land Use and Mobility Plan” che prevede una riqualificazione totale anche attraverso l’innovazione di quartieri “spugna”, ovverosia capaci di assorbire e gestire le acque meteoriche in modo naturale, riducendo il rischio di allagamenti grazie a pavimentazioni permeabili e giardini-tettoia. La stessa Ice, sulla sua pagina Web, ha rilanciato il piano da 2,2 miliardi per l’area di Place Versailles: 6.000 unità abitative, una scuola, un hotel, due torri commerciali e parchi. Una strada segnata anche da Pittsburgh che proprio grazie agli interventi sul suo tessuto industriale - da fonderie cardine della Rust Belt a edifici multifunzionali per attività smart e digitali - ha visto aumentare del’1,6 % la popolazione secondo l’US Census Bureau. Un esempio: lo Smart Curbs, sistema di gestione automatizzata dei marciapiedi che utilizza l’IA per far rispettare le normative sui parcheggi, è stato segnalato come caso virtuoso all’Urban Transformation Summit di San Francisco. L’iniziativa, nata dalla collaborazione tra autorità locali e il privato Automotus, ha portato a una riduzione del 41% dei parcheggi in doppia fila, a una diminuzione delle emissioni inquinanti e all’adozione di veicoli elettrici cinque volte superiore rispetto alle statistiche nazionali.
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